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Analisi sul testo “Ricordare, dimenticare, perdonare” di Paul Ricoeur – di Andrea Vito.

Obiettivo del seguente scritto è presentare il pensiero del filosofo Paul Ricoeur nel saggio sul ricordo e sul passato che l’autore propone.

Trattiamo, innanzitutto, della tensione reciproca tra i termini stato ed essenza. Che cosa significa l’idea di passato, per Ricoeur? Il filosofo riprende Aristotele, secondo cui il passato, in quanto non è più, indica qualcosa che viene irrimediabilmente perduto a causa della potenza corruttrice e distruttrice del tempo. Tuttavia, il nostro filosofo ci illustra anche la prospettiva positiva del concetto di passato, in quanto essente-stato, che mostra l’anteriorità dell’essere, la sua permanenza umbratile, suscettibile di essere evocata attraverso un ricordo che ritorna.

La dimensione negativa del passato, invece, corrisponde a un lasciarsi andare patologico, quello della melanconia e del sentirsi in colpa per la perdita dell’oggetto amato.

Ricoeur ci spiega, nel corso del saggio, che la memoria va pensata come una forza viva e attiva, quasi come un ponte gettato tra le diverse forme di memoria per rendere più plausibile una fenomenologia incrociata della memoria individuale e della memoria collettiva.

Ci sono poi dei riferimenti al legame tra storia e memoria: entrambe sono condannate a oscillare tra fiducia e sospetto. Inoltre, la storia, in quanto analisi critica del significato degli eventi, è superiore alla memoria di cui si nutre.

Dopo, ci si interroga sul senso dell’idea di perdono. Esso è una forma di rimedio posto al male, nonché adempimento degli impegni assunti, che provoca una catarsi, riapre il passato e ne cambia il senso, permettendo un nuovo inizio perché le vie del futuro sono rischiarate. E’ fondamentale, in tal senso, prendere serenamente congedo dal passato, per poter aprire una nuova pagina nella propria vita e nel proprio tempo.

Si riflette, di seguito, sul ruolo del presente, implicato nel paradosso della presenza dell’assente; tuttavia, ci si focalizza ancora tanto sul passato, che non va trattato come un’entità o una località in cui starebbero i ricordi dimenticati: l’oggetto del passato, in quanto trascorso, è un oggetto (d’amore, di odio) perduto. Ricoeur sottolinea come il ricordo ritorni, in quanto immagine, in forma di immagine. La rappresentanza, poi, esprime la miscela opaca di ricordo e finzione nella ricostruzione del passato.

In un secondo momento, vengono riprese delle riflessioni di Agostino e Heidegger. In particolare, si nota come, in Heidegger, il problema delle differenze tra le tre istanze – presente, passato e futuro – è posto a partire dalla loro presunta unità. Per Agostino, “il presente del passato è la memoria, il presente del presente è la visione, il presente del futuro l’attesa”. Ragionando, Ricoeur arriva poi a sostenere che il presente è l’adesso dell’iniziativa dell’inizio dell’esercizio della potenza d’agire sulle cose, l’intensità vissuta del gioire e del soffrire.

Sono prese in prestito delle parole di Heidegger sull’esserci, “inteso come autenticamente esser-stato solo in quanto è ad-venire. L’esser stato, secondo tale logica, scaturisce dall’avvenire.

Poi, viene preso in esame il concetto di colpa. Si tratta del fardello che il passato fa pesare sul futuro. Bisogna dare al concetto di colpa l’ampiezza che nozioni affini (eredità, pre-acquisizione, previsione orientatrice) contribuiscono a preservare. La colpa viene idealmente presentata anche come un poter essere aperto sugli altri orizzonti rispetto alla morte. Inoltre, la colpa obbliga.

Dopo, si ragiona sul problema della storia, intesa come ricollocata dalla memoria nel movimento della dialettica e della retrospezione del progetto, in cui non può essere separato il binomio verità-fedeltà.

Vengono di seguito presentati i due principali significati di storia: “fare storia” e “fare la storia”. In questo senso, ritorna, a mio avviso, un momento del film “Il Codice da Vinci” di Ron Howard, in cui i tre protagonisti sono su un aereo in viaggio verso Londra. Leigh Teabing, interpretato brillantemente da Ian McKellen, sostiene che per anni studiosi come lui hanno studiato la storia, mentre da quel momento in avanti essi sono tutti nella storia, facendola, poiché sono direttamente coinvolti nella ricerca del Sacro Graal.

Più avanti, si sottolinea un tipo di ricerca basata su due poli: la memoria come essente del tempo e l’oblio come opera del tempo che disfa. Di solito, dai filosofi l’oblio è considerato come il nemico che la memoria combatte, l’abisso da cui la memoria strappa il ricordo.

E’ possibile parlare della memoria come modello dell’individualità personale delle esperienze vissute del soggetto. Riprendendo le parole di Agostino, si afferma che nella memoria risiede il legame originario della coscienza con il passato: in questo senso, la memoria è il presente del passato. Poi, ci si sofferma sul concetto di memoria collettiva, intesa come raccolta di tracce lasciate dagli eventi che hanno influenzato il corso della storia dei gruppi interessati. La memora, inoltre, viene osservata come ciò che assicura la continuità temporale della persona.

Studiando Koselleck, si nota come la dinamica tra spazio di esperienza (insieme delle eredità del passato) e orizzonte di attesa assicuri il dinamismo della coscienza storica. Questo scambio tra spazio di esperienza e orizzonte di attesa si produce attraverso il presente vivo di una cultura.

Nel corso dell’opera di Ricoeur, si riflette sulla funzione comune che rivestono immaginazione e memoria (rendere presente una cosa assente), ma è necessario che vadano sganciate l’una dall’altra. In tal senso, esiste una specificità della memoria di segnalare la distanza temporale dalla cosa ricordata.

C’è una linea di differenza tra un approccio statico del ricordo (presente anche allo spirito) e un approccio dinamico del ricordo (cercato risalendo la catena dei ricordi intermedi). Ancora su tale aspetto, si ragiona sull’immaginazione in quanto spinta dal lato della finzione, dell’irreale, del virtuale e del possibile, confrontata con la memoria, intesa come guidata da una preoccupazione di esattezza, da un voto di fedeltà.

Viene poi ripreso il filosofo Habermas, parlando degli usi della memoria, situati al crocevia di due tipi di razionalità (comunicazione dell’etica e quella utilitaristica e strategica).

La rottura della storia con il discorso della memoria sopravvive a tre livelli: documentario (conoscenza che dipende da fonti), esplicativo (tipo di scientificità propria della storia) e interpretativo (fenomeno della scrittura). Viene detto, di seguito, che il documento è tutto ciò che può essere interrogato da uno storico, con l’intenzione di trovarvi un’informazione sul passato.

Ancora, si ragiona sulla memoria, che possiede, secondo Koselleck, un privilegio che la storia non è in grado di sottrarle: quello di ricollocare la storia nel movimento della coscienza storica. Esiste una funzione terapeutica relativa all’uso che i popoli fanno delle loro tradizioni e di ciò che esse trasmettono.

Dopo, si riflette sul concetto di oblio.  Esistono due tipi di oblio: profondo (in quanto inscrizione e conservazione del ricordo) e manifesto (come funzione di richiamo, di rimemorazione). Ci sono, tuttavia, anche altre forme di oblio, come quello selettivo (esso comincia al livello profondo dell’usura delle iscrizioni) e l’oblio di fuga (forma semi-passiva e semi-attiva, espressione della cattiva fede, strategia di evitamento motivata da una volontà oscura a non informarsi, per non indagare sul male commesso nell’ambiente del cittadino).

Dopo, viene presa in esame la concezione di perdono, inteso come il contrario dell’oblio, in quanto non rimane chiuso in un rapporto narcisistico tra sé e sé poiché presuppone la mediazione di un’altra coscienza, quella della vittima, la sola abilitata a perdonare. Esistono varie forme di perdono: di autocompiacimento (prolunga, idealizzando, l’oblio di fuga), di benevolenza (che vorrebbe fare economia della giustizia e cospira con la ricerca d’impunità), di indulgenza (vicino a una prospettiva teologica).

Infine, ci si interroga sul donare. Che cosa significa? Il dono, inteso come economia, resta tale perché il dono non esce dal cerchio dello scambio.

La misura assoluta del dono è l’amore dei nemici, come insegnava Gesù, inteso come idea di prestito senza speranza di ritorno. L’ospitalità universale presentata da Kant ne “La pace perpetua” è l’approssimazione politica all’amore evangelico dei nemici.

Il perdono difficile, prendendo sul serio il tragico dell’azione, punta alla radice degli atti alla fonte dei conflitti e dei torti che lo richiedono.

Viene presa in considerazione la formulazione del termine data da Hegel ne “La fenomenologia dello spirito”: perdono è un riconoscere reciproco che è lo spirito assoluto. Importante, quando si parla di perdono, è sciogliere i nodi. Il ricorso al perdono fa fronte alla spirale della vittimizzazione, che trasforma le ferite della storia in impietose requisitorie. Bisognerebbe ammettere che l’oblio di fuga e la persecuzione senza fine dei debitori sono frutto della stessa problematica e tracciare una linea sottile tra l’amnesia e il debito infinito.

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