“Chi nasce strofinaccio non può morire foulard.”
A prima vista, questa antica massima siciliana sembra sancire un destino immutabile: lo strofinaccio, condannato a raccogliere briciole e macchie, difficilmente potrà trasformarsi in un foulard di seta leggiadro e aristocratico.
Eppure, a ben guardare, il foulard – sospeso con eleganza su colli prestigiosi – non ha mai affrontato il lavoro umile e concreto. È solo un simbolo dell’apparenza, privo di sostanza.
Lo strofinaccio, invece, conosce il valore dell’impegno quotidiano e la dignità dell’azione concreta.
Questa riflessione ci invita a considerare il contrasto tra essere e apparire: lo strofinaccio è utile e solido, il foulard è elegante e leggero.
Chi nasce strofinaccio vive la realtà autentica e le sue difficoltà; chi aspira a diventare foulard deve misurarsi con il fascino dell’immagine e il desiderio di elevarsi senza dimenticare le proprie origini.
Con un tocco di ironia, la massima smaschera l’illusione dell’ascesa sociale: per quanto ci si impegni a diventare foulard, non è detto che il collo aristocratico ci accolga a braccia aperte.
Anzi, il foulard può finire dimenticato e impolverato su uno scaffale, mentre lo strofinaccio – pur sfruttato – continua almeno a svolgere la sua piccola, indispensabile funzione.
