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Il fronte occidentale mai così compatto. In 40 con l’America. “Kiev deve vincere”

27 Aprile 2022 – 06:00

Non solo i Paesi Nato, ma anche africani e asiatici. C’è Israele. La prova di forza Usa

Il fronte occidentale mai così compatto. In 40 con l'America.

È già stato notato che Vladimir Putin, nella sua smania anacronistica di ricostituire con la forza ciò che fu l’impero sovietico, ha ottenuto un risultato inatteso e indesiderato: consolidare il fronte occidentale opposto alla Russia e vedere aumentati, anziché ridotti come pretendeva per non invadere l’Ucraina, i contingenti militari della Nato ai suoi confini. Ma c’è di più. Putin ha servito su un piatto d’argento a Joe Biden l’opportunità di far diventare quel fronte occidentale armato non solo difensivo, ma attivo sia pur per interposta Ucraina e calibrando attentamente le mosse – nel contrapporsi alla Russia. Una svolta epocale, che da sola incarna il senso della frase ormai tante volte udita “dopo il 24 febbraio nulla sarà più come prima in Europa”.

Un altro effetto di questo stato di guerra è la progressiva caduta dei veli dialettici tipici della diplomazia. E qui vogliamo ancora concentrarci sul lato americano. Il segretario alla Difesa Lloyd Austin, ieri a Ramstein e il giorno prima a Kiev in compagnia del collega ministro degli Esteri Antony Blinken, ha usato un linguaggio chiarissimo e ha quasi ostentato obiettivi che fino a poco tempo fa la Casa Bianca non si sarebbe sognata di esplicitare. Non “aiuteremo l’Ucraina a resistere all’aggressione”, ma “crediamo che l’Ucraina possa vincere questa guerra”; non “puntiamo a costringere Putin a un compromesso”, ma “vogliamo una Russia ancor più indebolita militarmente per impedirle di compiere nuove aggressioni”; non “un’operazione a tempo determinato”, ma “lanciamo un meccanismo per aiutare l’Ucraina ora e dopo la guerra”.

L’America ha svoltato. Austin conferma che Biden non parlava a caso quando diceva che non avrebbe permesso a Putin di vincere. E per farlo ha riunito nella grande base aerea americana in terra tedesca non solo i rappresentanti dei Paesi membri della Nato più Svezia e Finlandia che sono pronti ad aderirvi, ma quelli di un’altra decina di Stati asiatici e africani, in una sorta di riedizione riveduta e corretta, e certamente più forte e coesa di quella “coalizione dei volenterosi” che George W. Bush aveva un po’ raffazzonato ai tempi della guerra in Iraq. Austin l’ha chiamata “lega per l’Ucraina”, e sembra richiamare il concetto di alleanza non coincidente con la Nato ma comunque a guida occidentale che la leadership ucraina aveva invocato a proprio sostegno all’inizio dell’invasione russa. Ne fanno parte Paesi importanti come il Giappone, Israele e il Qatar, ma anche nazioni come il Kenya e la Tunisia, quasi a ricordare che l’America non rinuncerà a un ruolo forte nell’Africa oggetto delle mire russe e cinesi.

Il ruolo di Israele merita una sottolineatura. Lo Stato ebraico aveva fin qui tenuto una linea prudente, evitando di fornire armi all’Ucraina e privilegiando la mediazione. Scelta che si spiega con la presenza russa nella confinante Siria e con i rapporti privilegiati di Mosca con l’Iran nemico giurato di Israele. È certo che Washington abbia esercitato forti pressioni su Gerusalemme perché si avvicinasse al campo occidentale di sostegno a Kiev, e un peso decisivo sembra averla avuta la promessa americana di mantenere sanzioni e pressioni su Teheran anche in caso di firma di quell’intesa sul nucleare iraniano che gli israeliani aborriscono.

Ma torniamo a Austin. Cosa ha dunque voluto ottenere il capo del Pentagono a Ramstein? Sicuramente non vi è presentato per fare una semplice conta degli alleati disposti a seguirlo in una nuova e più determinata fase della guerra. Al contrario, come nel citato esempio israeliano, si è fatto precedere da un’azione diplomatica sottotraccia, da pressioni che hanno prodotto risultati concreti. Ne è un altro esempio l’annuncio della recalcitrante Germania, prima ancora che il vertice iniziasse, di aver sciolto positivamente la riserva sull’invio all’Ucraina dell’ottantina di carri armati prima promessi e poi fermati dal cancelliere Olaf Scholz. Sì, Austin ha condotto a Ramstein per conto di Biden anche una prova di forza con gli alleati europei: in sintesi, Putin non scherza e noi ci saremo per aiutarvi, ma il bastone della guida è in mano nostra.

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