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Il generale Camporini: “Forze di pace? Non mi fido dei russi. Si rischia il conflitto”

Nel tortuoso e ancora incerto sentiero verso un possibile cessate il fuoco e mentre da parte russa piovono bombe a grappolo e proiettili al fosforo, si affaccia un’ipotesi dell’Italia nel team dei possibili garanti. Lo chiede l’Ucraina, ma Mosca, pur senza escluderlo, manda dire attraverso Mario Draghi che comunque “le condizioni non sono ancora mature”. Si vedrà. Il cielo sopra Kiev e Mariupol è ancora cupo di battaglia e di massacri. Il generale Vincenzo Camporini, ex capo di Stato maggiore della Difesa e analista esperto, è abbastanza scettico.

Generale, davvero Ucraina e Russia si stanno avvicinando nelle trattative?

“Non vedo segnali concreti. Trattativa significa che entrambe le parti concedono qualcosa. Parlerei di incontri. Vedo qualche apertura da parte ucraina, soprattuto sul Donbass, mentre Mosca pone condizioni che non vuole discutere”.

Solo fumo negli occhi?

“L’avvicinamento è l’illusione di qualcuno convinto che ci sia una divisione di intenti: gli Stati Uniti che premono per creare tensione verso la Russia e l’Europa che invece vuole trattare. E’ un’idea tutta italiana”.

Cosa significa nel concreto per l’Italia fare da garante?

“È un ruolo molto delicato perché, stabilite le regole, se c’è violazione da parte di una delle parti bisogna intervenire”.

Come?

“Serve la consapevolezza che l’interpretazione più scontata è quella dell’introduzione dell’articolo 5 del trattato Nato che prevede l’obbligo da parte dei firmatari di intervento militare se si verificano violazioni da parte di chi aggredisce”.

Situazione spinosa.

“Della Russia, visti i precedenti, c’è poco da fidarsi”.

Che peso potrebbe avere l’Italia nel ruolo di garante?

“Certamente di rilievo se le viene riconosciuto un ruolo istituzionalmente inserito all’interno di un team internazionale. Ripeto, bisogna poi mettere in conto il rischio di essere coinvolti”.

Significa anche essere presenti sul terreno dopo il cessate il fuoco?

“Non necessariamente. Anche se l’Ucraina probabilmente lo gradirebbe. In ogni caso si deve predisporre una forza potenziale in grado di agire se qualcuno viola i patti”.

L’Italia è pronta per questo passo?

“È la domanda che mi pongo pure io. Un conto è una presa di posizione, un conto sono i fatti. È certamente prestigioso far parte di un pool di Paesi ritenuti capaci e affidabili. Ma forse bisogna anche spiegare all’opinione pubblica che si tratta di un impegno gravoso che comporta anche dei rischi”.

È pensabile una forza di interposizione come l’Unifil in Libano?

“Sono concetti diversi. Le forze dell’Onu possono essere dispiegate solo con l’accordo dei due contendenti e il sì dei cinque membri del Consiglio di sicurezza di cui fa parte anche la Russia. Ognuno ha diritto di veto, quindi è facile tirare le conclusioni”.

Ma un forza tipo Unifil in teoria che compiti avrebbe?

“Dipende dalle regole di ingaggio, ma di solito le Nazioni Unite sono molto prudenti. In Libano per esempio Unifil, fra le altre cose, sovrintende al disarmo delle milizie locali, compito però che deve portare a termine l’esercito libanese”.

Chi sono i reparti più idonei a compiti di questo genere?

“Ogni esercito forma alcuni reparti per le missioni internazionali. L’Italia ha uomini molto preparati e ben addestrati di diversi reparti che ruotano nelle missioni all’estero”.

Come vengono scelti i Paesi partecipanti?

“L’Onu tende a indicare Paesi che non hanno contenziosi con le forze in campo. E l’Italia ha sposato la causa di Zelenski”.

È possibile una Ucraina neutrale?

“Dipende di che neutralità si parla. Sento citare spesso Austria e Finlandia. Hanno caratteristiche molto diverse”.

Spieghi.

“La prima dispone di forze limitate, circa 22mila militari, la metà dei quali sono di leva con una permanenza in servizio di 6 mesi. La seconda ha più o meno gli stessi militari in servizio ma con una riserva di cicra 900 mila uomini ben addestrati. Dispone di armamenti sempre aggiornati e ha appena acquisito 64 aerei F35, il caccia multiruolo di quinta generazione”.

Quale potrebbe essere la scelta dell’Ucraina?

“Certamente opterebbe per una opzione diciamo finlandese, che però prevede anche un certo adeguamento nella dotazione militare col significato di un ulteriore avvicinamento all’Occidente. Non credo che Mosca possa accettare un assetto del genere. Ma è presto per dirlo”.

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