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Il Milan è campione d’Italia

Dal 2011 al 2022. Undici anni per rivincere lo scudetto. In mezzo, due (quasi tre) passaggi societari, nove allenatori, una crisi profondissima, svariate rifondazioni. Alla fine, i rossoneri ce l’hanno fatta. Il Milan è di nuovo campione d’Italia. Soprattutto, il Milan è tornato ad essere il Milan. È questa la grande vittoria di Stefano Pioli, di Maldini e Massara, anche di Zlatan Ibrahimovic, il filo conduttore fra ieri e oggi, l’ultimo e il nuovo titolo, anche se ormai al crepuscolo della carriera è riuscito a dare un contributo davvero minimo sul campo. Lo scudetto, il 19° della storia rossonera, è solo la conseguenza di un percorso iniziato nel luglio 2018, quando il fondo Elliott ha raccolto il club dal pantano cinese, e proseguito nel 2020, con la scelta, così azzeccata, di continuare a puntare sulla “normalità” di Pioli. E così siamo arrivati a oggi, al trionfo rossonero.

Con la vittoria contro il Sassuolo, il Milan è ufficialmente campione d’Italia, con una giornata d’anticipo. Mai come in questa occasione, si può dire che questo è uno scudetto vinto con la forza delle idee, più che dei giocatori, considerando che il Milan non era certo la squadra più attrezzata, e il giudizio non cambia nemmeno dopo il titolo. Il successo nasce da fuori, e solo poi arriva sul campo. La parola chiave è progetto. Politiche societarie precise, alcune magari anche poco condivisibili, ma indubbiamente riconoscibili.

Prendiamo ad esempio i rinnovi. Nel corso degli ultimi due anni, il Milan ha lasciato andare a scadenza tre dei suoi giocatori più forti ed appetibili: l’estate scorsa Donnarumma e Calhanoglu, adesso Kessie. Nemmeno col senno di poi queste operazioni possono essere considerate positive: nonostante l’annus horribilis del portiere azzurro al Paris Saint-Germain, comunque la si pensi sul centrocampista turco ora protagonista all’Inter, parliamo di tre giocatori dal valore potenziale di circa 150 milioni di euro (fonte Transfermarkt) che alla società non hanno fruttato un centesimo. Eppure, alla fine ha avuto ragione Maldini: Maignan è stato il valore aggiunto dei rossoneri e non ha mai fatto rimpiangere il predecessore, e anche se i sostituti di Calhanoglu non sono stati all’altezza (Brahim Diaz è forse l’unica vera nota stonata della stagione) la squadra ha trovato un equilibrio senza di lui e ha finito per giocare meglio di prima. Soprattutto, la linea dettata dalla società è riuscita a compattare il gruppo e ha orientato le altre operazioni nella stessa direzione: chiarezza, sostenibilità, futuribilità. Ad esempio, aspettare la maturazione di Leao e Tonali, che qualcuno aveva bollato troppo presto come “bidoni”, e che sono stati i veri trascinatori dello scudetto. Oppure scommettere a gennaio su Kalulu, cresciuto in maniera esponenziale e insospettabile nelle ultime settimane, piuttosto che comprare un rinforzo qualsiasi in difesa, tanto per fare qualcosa sul mercato.

Dal campo si risale alla panchina, alla già citata conferma di Pioli nel 2020, uno snodo cruciale del recente passato rossonero: chissà come sarebbe andata se la dirigenza avesse davvero puntato sul tedesco Ragnick, come pareva ormai deciso in quelle settimane. Il tecnico italiano è l’altro artefice della cavalcata rossonera: anche lui, che sembrava un bravo allenatore da metà classifica e nulla più, è cresciuto al punto da raggiungere un’identità tattica e una capacità di reggere la pressione superiore a tanti colleghi più blasonati.

Quindi si arriva fino in società. Il lavoro di Elliott è sotto gli occhi di tutti. Ha preso una squadra allo sbando, da ogni punto di vista, e l’ha rimessa in piedi. Perché è quello che fanno i fondi: comprano aziende dissestate, le risanano e poi le rivendono. Per profitto, non per beneficenza. Andrà così anche col Milan, chissà se già ora o in futuro, ma comunque i tifosi ci avranno guadagnato. Adesso i rossoneri hanno un bilancio decente, non ancora positivo ma con un rosso accettabile, ripulito dalla maggior parte dei debiti. E questa stabilità ha permesso il rinforzo progressivo della rosa, in un circolo virtuoso fatto di piccoli passi mai più lunghi della gamba. L’unico vero slancio è stato quello che ha permesso a questo gruppo di gettare il cuore oltre l’ostacolo e arrivare fino allo scudetto, che probabilmente non era nemmeno nei piani della società. Oggi tutti sanno come fa calcio il Milan. Non è il calcio migliore del mondo, perché in Italia ci sono squadre più divertenti (e probabilmente anche più forti), all’estero proprietà ricche e ancora inarrivabili. Ma è un progetto serio, solido, credibile. Adesso, anche vincente.

Twitter: @lVendemiale

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