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In Italia non esiste una mappa aggiornata delle zone a maggiore rischio di terremoti

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In un articolo pubblicato sull’edizione italiana della rivista Nature la giornalista scientifica Chiara Sabelli ha raccontato perché in Italia non esiste una mappa aggiornata del rischio sismico, che cioè indichi le zone dove è più probabile che si verifichino dei terremoti. L’ultima mappa risale al 2004, cioè a quasi vent’anni fa. Nel frattempo la tecnologia e le conoscenze si sono evolute, e gli esperti ritengono che aggiornare la mappa sia necessario per predire con maggiore efficacia dove avverranno dei terremoti.

L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha iniziato i lavori per aggiornarla nel 2015. A causa di rimpalli fra l’INGV e la Protezione Civile legati a dispute di natura scientifica sulla valutazione di alcune zone a rischio e ad alcune considerazioni sulle norme per l’edilizia (che in alcune zone del paese sarebbero potute diventare meno stringenti), la mappa non è ancora stata aggiornata: e non è chiaro quando si riuscirà a farlo.

I sismologi dicono spesso che non sono i terremoti a uccidere le persone, ma gli edifici, quando crollano a causa di una scossa a cui non sono in grado di resistere. Un Paese ad alta sismicità come l’Italia ha bisogno di una mappa del rischio sismico affidabile, che indichi che tipo di terremoti ci si può aspettare in ogni area, per definire le norme di edilizia antisismica. Disporre di migliori informazioni riduce il rischio che si verifichino tragedie come il terremoto dell’Irpinia del 1980, che uccise quasi 3.000 persone; quello dell’Aquila del 2009, che causò 309 vittime; o la serie di terremoti che colpì le Marche, il Lazio e l’Umbria nel 2016, con un bilancio di 299 vittime.

Attualmente, l’Italia si affida a una mappa sismica approvata nel 2004. Con l’evoluzione della sismologia, la mappa deve essere aggiornata con i dati e le conoscenze prodotte negli ultimi due decenni, compresi quelli relativi ai numerosi terremoti intensi che hanno colpito l’Italia da allora. Per quasi tre anni, l’approvazione di una mappa aggiornata è stata rinviata più volte, perché le due istituzioni coinvolte nel processo non riescono a trovare un accordo sulla sua forma finale. Il processo, che Nature Italy ha ricostruito attraverso documenti ufficiali e interviste ai protagonisti, racconta molto della scienza dei terremoti, e mette in evidenza le tensioni che emergono quando i pareri scientifici vengono tradotti in decisioni politiche.

La storia ha avuto inizio nel 2015, quando l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha cominciato a lavorare a una nuova mappa di pericolosità sismica per l’Italia, con un gruppo di lavoro coordinato da Carlo Meletti, ricercatore dell’INGV, e da Warner Marzocchi, allora all’INGV e ora professore all’Università di Napoli Federico II.

L’obiettivo era sviluppare una nuova versione che sostituisse la mappa del 2004, denominata MPS04, su cui si basano le attuali norme edilizie italiano. L’INGV era stato incaricato dal governo di sviluppare quella mappa nel 2003, all’indomani del terremoto di magnitudo 6 di San Giuliano di Puglia, in cui morirono 27 studenti e la loro insegnante.

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