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La «lezione» dei frutti di mare: così Putin aggira le sanzioni occidentali

L’allarme sul default della Russia era ai massimi un paio di settimane fa: ora quasi non se ne parla.

Cos’è successo? In sostanza, che le sanzioni economiche sono meno pesanti e meno efficaci di quanto vogliamo credere.

Anzitutto per le enormi eccezioni che l’Europa ha voluto: la Russia continua a ricevere pagamenti in valuta pregiata per gas e petrolio, più che sufficienti a continuare la guerra ed anche a rimanere «solvente», scongiurando o rinviando la bancarotta sovrana.

A questo proposito l’economista Paul Krugman sul New York Times accusa la Germania di ipocrisia: tanto la classe politica tedesca fu moralista contro i Paesi dell’Europa meridionale all’epoca della crisi debitoria dell’Eurozona, tanto poco è moralista oggi nei confronti di se stessa, rifiutando sacrifici che potrebbero accorciare la guerra.

Tra l’altro Krugman sostiene, citando economisti tedeschi, che la Germania potrebbe fare a meno del gas russo senza andare incontro a una catastrofe (lo studio è stato raccontato da Luca Angelini nella Rassegna stampa).

Ben più efficace delle – limitate – sanzioni occidentali, sarebbe un aumento della produzione petrolifera da parte dei paesi Opec: farebbe scendere i prezzi dell’energia e questo taglierebbe subito i fondi che affluiscono a Mosca per comprare armi. Qui però si consuma uno scacco della diplomazia americana. Biden non è riuscito a portare decisamente nel suo campo l’Arabia saudita e gli Emirati, chi comanda nel cartello petrolifero dell’Opec non vuole fare sgarbi alla Russia, potenza carbonica con cui il mondo arabo conserva rapporti normali. Vedi appunto la mappa delle nazioni che non aderiscono alle nostre sanzioni.

In quella mappa dei «neutrali» o filo-russi un posto di rilievo spetta alla Turchia: sta diventando un paradiso bancario e fiscale per oligarchi russi, nonché una destinazione per le vacanze del ceto medioalto russo. L’afflusso di capitali russi in Turchia è una benedizione per un’economia che era al collasso, con la lira turca che aveva perso il 45% del suo valore rispetto al dollaro in tre mesi. La Turchia è un membro della Nato ma si rifiuta di aderire alle sanzioni.

Il suo ruolo di mediazione diplomatica va interpretato alla luce dei benefici economici dalla «relazione speciale» fra Ankara e Mosca.

Non solo: esistono innumerevoli strategie con cui un paese può aggirare le sanzioni, per esempio costruendo una ragnatela internazionale di società-ombra e prestanome apparentemente di altre nazionalità, attraverso cui far passare i propri business.

La cronaca americana di questi giorni offre un nuovo spunto: pesce e frutti di mare continuano ad arrivare dalla Russia negli Stati Uniti, «esterovestiti» dopo complesse operazioni per farli apparire come prodotti made in China. Il riciclaggio di denaro sporco da parte della criminalità organizzata ha insegnato il mestiere a molti governi, su come far sparire le tracce della provenienza originaria.

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