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L’italiano: una lingua fatta per essere cantata

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L’italiano non è semplicemente parlato, è cantato.

Celebre per la sua musicalità e il suo fascino, non sorprende che l’opera abbia scelto proprio l’italiano come sua lingua madre: elegante, espressivo e pieno di vita.

Come tutte le lingue romanze, l’italiano affonda le sue radici nel latino.

Tuttavia, mentre in Francia, Spagna e Portogallo le lingue nazionali si sono sviluppate dai dialetti delle rispettive capitali, la storia dell’Italia è stata diversa.

Il nostro Paese era un mosaico di città e regioni, ciascuna con il proprio dialetto, spesso così distinto da risultare incomprensibile agli altri.

Non vi era un unico centro linguistico.

Nel sedicesimo secolo, un gruppo di studiosi cercò di stabilire una lingua comune.

Con così tanti dialetti in competizione, era impossibile scegliere quello di una sola città.

Essi guardarono invece al passato, scegliendo il fiorentino del Trecento — la lingua di Dante.

La sua Commedia elevò il volgare al livello della grande letteratura e pose le fondamenta dell’italiano moderno.

Così l’italiano nacque non da una necessità politica, ma dalla poesia — una lingua plasmata dalla bellezza, dall’intelletto e dall’arte.

Sorprendentemente, l’italiano che parliamo oggi è ancora, in molti modi, la lingua di Dante.

Per chi è interessato al percorso storico, approfondiamo: dal fiorentino all’italiano.

Le opere di Dante, Petrarca e Boccaccio fissarono uno standard, facendo del fiorentino il modello da imitare.

Nessuna autorità impose questa scelta; fu il prestigio della loro letteratura a sancirne il successo.

L’invenzione della stampa contribuì enormemente alla diffusione del fiorentino oltre l’ambito letterario.

La questione della lingua del sedicesimo secolo avviò un processo di standardizzazione che portò al riconoscimento ufficiale del fiorentino come italiano.

Col tempo, gli altri volgari si trasformarono in quelli che oggi chiamiamo dialetti.

Per secoli, l’italiano rimase prevalentemente una lingua scritta, mentre i dialetti continuarono a essere usati nella comunicazione quotidiana.

Fu solo nella seconda metà del Novecento — grazie all’influenza dell’istruzione, dell’amministrazione centralizzata, delle migrazioni interne, del servizio militare e, soprattutto, dei mass media e della televisione — che l’italiano divenne realmente la lingua di tutta la nazione.

I molti emigrati italiani partiti prima del 1960 continuano a parlare i dialetti delle loro regioni di origine.

Non necessariamente a causa della povertà o della mancanza di istruzione, ma semplicemente perché questi dialetti erano le lingue parlate quotidianamente all’epoca della loro partenza dall’Italia.

Hanno anche trasmesso questi dialetti alle generazioni successive, ed è per questo che oggi incontriamo americani, francesi e belgi di origine italiana che non parlano l’italiano, ma il dialetto dei loro antenati.

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