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Luigi Di Maio ha lasciato il M5S

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Poco dopo le 21:30 di martedì, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha annunciato di aver lasciato il Movimento 5 Stelle e di voler fondare un nuovo gruppo parlamentare, insieme ad altri esponenti politici del suo ormai ex partito che hanno deciso di seguirlo. Dopo aver duramente criticato le posizioni delle ultime settimane di parte del M5S sulla guerra in Ucraina, a partire da quelle di Giuseppe Conte, Di Maio ha definito “una scelta sofferta” la decisione di lasciare il Movimento: “Che mai avrei immaginato di dover fare. Oggi io e tanti altri colleghi e amici lasciamo il M5S: lasciamo quella che da domani non sarà più la prima forza politica in Parlamento”.

Il numero preciso di parlamentari che confluiranno nel nuovo gruppo non è ancora noto, ma nella giornata di oggi sui giornali si era parlato di circa 50 deputati e di una ventina di senatori. Il M5S fino a oggi aveva 155 deputati e 72 senatori, con la scissione non sarà quindi più il primo partito in Parlamento, ma lo diventerà la Lega.

Di Maio nel suo discorso ha prima di tutto commentato positivamente il voto favorevole del Senato sulla risoluzione sull’Ucraina in vista del Consiglio Europeo (l’istituzione di cui fanno parte i capi di stato e di governo dell’Unione Europea, in programma per giovedì 23 e venerdì 24 giugno), ma al tempo stesso ha criticato il M5S per le posizioni intransigenti su vari aspetti della risoluzione, che ne hanno reso assai difficoltosa la stesura e l’approvazione. Di Maio ha ricordato che nelle settimane precedenti era stata posta la questione di non avere all’interno del suo ex partito le ambiguità sulla guerra in Ucraina e sulla Russia: “Il M5S aveva il dovere di sostenere il lavoro diplomatico di tutto il governo ed evitare ambiguità, ma così non è stato”.

Nella propria dichiarazione alla stampa, Di Maio ha ricordato che: “In questo momento storico sostenere i valori europeisti e atlantisti non può essere una colpa: una forza politica matura dovrebbe aprirsi al confronto e al dialogo”, capendo di avere anche avuto posizioni sbagliate in passato. Di Maio ha anche accusato alcuni dirigenti del M5S di essere stati responsabili di “una vera e propria escalation contro alcuni di noi, attacchi quotidiani e personali anche a mezzo stampa”.

Le tensioni tra Di Maio e la dirigenza del partito, in particolare con l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, andavano avanti ormai da tempo e avevano varie ragioni, ma avevano via via portato a una forte divisione in occasione del dibattito interno alla maggioranza sulla posizione riguardo al conflitto in Ucraina.

Il M5S negli ultimi anni aveva dovuto affrontare varie crisi e scissioni, con dimensioni comunque più contenute rispetto alle attuali. Di recente, inoltre, Di Maio aveva criticato duramente Conte, cioè il presidente del M5S, per i risultati delle elezioni amministrative, molto negativi per il partito.

Da mesi comunque era noto che la linea politica di Conte, e di gran parte del M5S, sull’invasione russa dell’Ucraina non era condivisa da tutti. Di Maio in sostanza la giudicava eccessivamente ambigua riguardo al sostegno alla popolazione e al governo ucraini, e da ministro degli Esteri del governo Draghi, tra i più convinti sostenitori europei del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, era evidentemente poco a suo agio in un partito in cui sono diffusi estesi scetticismi sulla posizione da tenere nei confronti del conflitto, a partire dalle forniture di armi.

La tensione fra Di Maio e Conte e i suoi alleati ha una componente personale – i giornali scrivono che i due non vanno d’accordo da tempo – ma è soprattutto di natura politica. In estrema sintesi, Di Maio ha moderato molte delle proprie posizioni che aveva quando era capo politico del Movimento 5 Stelle, nonché di fatto leader dell’ala destra del partito. Fu Di Maio, fra le varie cose, a spingere per formare un governo con la Lega, a proporre un referendum per uscire dall’euro, a definire le ong che soccorrono i migranti in mare “taxi del Mediterraneo”, a chiedere la messa in stato d’accusa contro il presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante le trattative per formare il governo nel 2018.

Oggi Di Maio, dopo quattro anni ininterrotti da ministro, dice cose come “rivendico con orgoglio di essere fortemente atlantista ed europeista”, difende il presidente del Consiglio Mario Draghi ogni volta che ne ha l’occasione, e ha buoni rapporti col Partito Democratico, con diversi piccoli partiti centristi e con l’ala moderata di Forza Italia. Conte invece sta cercando di portare il Movimento in una direzione opposta, più vicina ai temi promossi nei primi anni di vita del partito, con toni diversi rispetto a quelli del fondatore Beppe Grillo ma in linea col populismo degli inizi.

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