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Markov: «Il metodo di Putin: la persona sbagliata nel posto giusto. Così lui può controllare tutti»

di Marco Imarisio, nostro inviato a Mosca

L’ex consigliere di politica estera sulla cerchia ristretta dello Zar: «Gli oligarchi non contano molto: quando lo incontrano tremano loro le gambe»

«Certo che sono preoccupato. Come fai a non esserlo? La guerra non piace a nessuno. Muoiono i civili, muoiono i soldati». Sergei Markov pronuncia questa frase mentre addenta una burrata gigante, in attesa di un altro piatto di mozzarella. Con la cucina italiana si potrebbe conquistare il mondo. Sul resto dell’analisi del direttore dell’Istituto di ricerche politiche di Mosca, ex deputato della Duma e soprattutto consigliere politico di Putin dal 2011 al 2019, è meglio sorvolare. «Il mondo è cambiato per sempre. Ma le nostre élite che vivono all’ombra di Vladimir Putin, hanno paura di guardare negli occhi una realtà terribile, e per questo si agitano, parlano a mezza voce».

Quel che ci ha portato fino a un ristorante nei boschi di Arkhangelskoye, a trenta chilometri dalla capitale, è la profonda conoscenza di Markov delle persone e dei misteri sui quali da mesi i media internazionali si arrovellano, ipotizzando ogni scenario, dalla rivolta al cambio di regime. «Qualunque divisione vi può venire in mente, state sicuri che al Cremlino la trovate. Ma se Putin decide una cosa, si fa come dice lui. Dopo, si vedrà».

Ci sono state epurazioni ai vertici dei servizi segreti e dell’esercito?


«Quando una guerra non va come era stata pensata all’inizio, si cambia. Anche gli Usa dopo i primi mesi della guerra in Iraq sostituirono alcuni generali. Chi sbaglia, paga».

Il ministro della Difesa Shoigu è una colomba?


«Lui non è un soldato. Non ha fatto il servizio militare, una rarità in Russia. Una delle persone più moderate che può trovare al Cremlino».

Allora perché Putin lo ha messo in quella posizione?


«È il suo metodo. Le persone sbagliate nei posti giusti. Shoigu non può dettare legge ai generali perché non è uno di loro. L’ex ministro della Cultura, Vladimir Medinskij ha una posizione molto rigida? Il presidente lo mette alla guida dei negoziati. Così comanda solo lui».

Chi è il falco più influente?


«Senz’altro Nikolaj Patrushev, attuale segretario del Consiglio di sicurezza. Uno dei veri consiglieri di Putin, che non sono molti».

Ma queste divisioni esistono davvero?


«L’insuccesso della prima fase dell’Operazione militare speciale ha scatenato una lotta burocratica. Chi è il colpevole? A chi dobbiamo togliere le risorse e a chi invece le dobbiamo dare? Qual è la nuova strategia? Un conflitto che per ora non assume forme politiche ben delineate».

Qual è il nodo principale?


«Alcuni sono convinti del fatto che vincerà chi è disposto ad andare fino in fondo. Ad esempio, Dmitry Rogozin, attuale direttore di Roscosmos, la nostra agenzia spaziale, molto vicino a Putin, che presto potrebbe avere un incarico importante».

Cosa significa andare fino in fondo?


«Prendere in considerazione l’arma nucleare tattica. In Ucraina, contro le navi Nato nel Mar Nero. Anche Patrushev lo teorizza dall’inizio. Attenzione. Non dicono che Putin deve usarla per forza, ma che deve essere pronto a farlo. Così come in Ucraina bisogna darsi una mossa e cominciare a colpire i palazzi del governo. Non è il partito della guerra, è il partito di chi chiede di pensare meno alla politica e di più al lato militare».

E l’altro gruppo?


«Sono quelli convinti che ogni guerra finisce con un compromesso, e bisogna cominciare a pensarci sopra. Anche il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, che pure approva l’operazione militare speciale, è di questo avviso».

Il ruolo degli oligarchi?


«Sulle decisioni politiche, non contano nulla. Io ne ho visti tanti, davanti a Putin. A ognuno di loro ogni volta tremavano le gambe».

Ce ne sarà pur qualcuno più importante degli altri?


«Aleksej Miller, il presidente di Gazprom, è il vero ministro dell’Industria di questo Paese. Igor Sechin, amministratore delegato di Rosneft, la compagnia petrolifera statale, è l’unico che può scherzare con Putin. Entrambi di San Pietroburgo. Le geografia politica e umana di Putin è molto chiara».

Roman Abramovich?


«Non appartiene a quel circolo ristretto. Ma Putin rispetta le sue umili origini, la sua infanzia trascorsa in orfanotrofio. Ha un debole per lui».

Al punto da spedirlo ai negoziati di pace?


«L’uomo che rappresenta Erdogan al tavolo delle trattative è un ex socio e amico di Abramovich. Così prima Zelensky e poi Putin hanno dato la loro approvazione alla sua presenza. Tutto qui».

Il 9 maggio cosa succede?


«Niente di niente. Noi che veniamo dall’ex Urss abbiamo sempre odiato la consuetudine di fare annunci durante le feste patriottiche. E Putin non fa eccezione. Sarà ancora lunga, purtroppo».

5 maggio 2022 (modifica il 6 maggio 2022 | 07:49)

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