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Ora Le Pen e Macron sono alla pari: al ballottaggio può accadere tutto

Parigi – Sembrava un’elezione scontata ma scopriamo adesso, a poche ore dal voto, che tutto è in discussione e non sappiamo chi uscirà vincente. Sembrava un appuntamento senza storia e senza rischi, ma ci rendiamo conto invece che dall’esito di questo voto dipendono il futuro della Francia e dell’Europa. Emmanuel Macron contro Marine Le Pen. Il leader che difende l’Europa e vuole rafforzarla, contro la Giovanna d’Arco del nazionalismo identitario e populista.

Elezioni Francia 2022: candidati, programmi e date

“Le Pen? Così l’Europa andrebbe in frantumi”

Alla vigilia del primo turno i sondaggi attribuiscono il 26,5% a Macron e il 24% a Marine. Due punti e mezzo di distacco: una “forchetta” talmente esigua da rendere possibili tutti gli scenari in vista della prova definitiva al secondo turno, domenica 24 aprile. È stata una campagna strana, esangue, priva di voce. La pandemia e la guerra in Ucraina hanno tolto visibilità ai candidati. Il malessere che si respira nel Paese fin dai tempi dei gilet gialli ha reso evidente l’avversione di tanti francesi nei confronti della politica e dei suoi rappresentanti. L’astensione che si registrerà domani ne sarà una prova evidente: l’istituto specializzato Odoxa prevede una diserzione alle urne pari al 27,4%, oltre il 5% in più rispetto alle presidenziali del 2017. Sei persone su dieci dichiarano di non provare alcun interesse per queste elezioni. Il 40% dei giovani fra i 18 e i 24 anni non andrà a votare. Il 12% dei francesi non sa nemmeno che domani si terrà il primo turno.

Al centro del palcoscenico c’è La République En Marche di Emmanuel Macron: un movimento che era partito alla grande nel 2017, ma non si è ancorato nella società e non è riuscito a impedire che disaffezione e rabbia si coalizzassero contro il suo leader. Definito il “presidente dei ricchi” e il “manovratore che cura gli interessi dell’alta finanza”, Macron sognava di dar vita agli Stati Uniti d’Europa e di trasformare la Francia in una “start-up Nation”: ha dovuto invece rassegnarsi a perpetuare un sistema economico dirigista pilotato dallo Stato. “Tutta questa agitazione per risultati così modesti?”, sintetizza in un saggio Georges Malbrunot, giornalista del Figaro ed ex ostaggio in Iraq.

La sua avversaria Marine Le Pen, leader del Rassemblement National, è invece al settimo cielo: gode di un vento favorevole che si è messo a soffiare all’improvviso, non l’hanno scalfita le polemiche sulla sua amicizia per Putin (che hanno invece danneggiato gravemente Éric Zemmour), crede nella vittoria (“non per me ma per i francesi”), si dice “pronta a governare”, è convinta che questa volta non verrà innalzata al secondo turno la “diga repubblicana” che nel 2012 e nel 2017 le precluse l’accesso all’Eliseo. La sua immagine è cambiata: sfoggia tailleurs blu notte e capelli biondo cenere, regala sorrisi maliziosi quando non vuole o non sa che cosa rispondere, evita di parlare di un’uscita della Francia dall’euro, non insiste sull’immigrazione, inneggia al patriottismo, racconta episodi di vita quotidiana con i suoi adorati gattini… Sullo sfondo della scena elettorale troviamo, sfiancati ed avviliti, due ex grandi partiti del passato.

Il Partito socialista, che fu glorioso ai tempi di Mitterrand, è affidato a una candidata, l’attuale sindaco della capitale Anne Hidalgo, che boccheggia fra il 2 e il 3 per cento: non piace, non convince, i parigini ce l’hanno con lei per come ha stravolto Parigi penalizzando il traffico delle automobili. A sua volta la destra neogollista dei Républicains, che per dodici anni dettò legge sotto la guida di Chirac, soffre davanti all’insuccesso della sua paladina Valérie Pécresse, la presidente della regione Île-de-France: una “brava ragazza” di 54 anni, una “perfettina, una “sgobbona col cerchietto e la gonna a pieghe” che si è definita “per due terzi Angela Merkel e per un terzo Margaret Thatcher”… ma che è ferma all’8,5%.

Sull’estrema sinistra esulta invece il tribuno della gauche Jean-Luc Mélenchon capo della France Insoumise che ha fagocitato comunisti e socialisti attestandosi sul 17,5%: una previsione che gli ha fatto rialzare la testa spingendolo a dichiarazioni tonitruanti: “Al secondo turno ci sarò io, non Macron, e mi aggiudicherò l’Eliseo”. Resta da parlare di Éric Zemmour, che aveva iniziato una marcia trionfale verso il 17%, ma a furia di slogan inaccettabili (ha cercato di sdoganare Pétain, ha detto che un datore di lavoro ha il diritto di rifiutare un nero o un arabo, ha dichiarato che l’Islam è incompatibile con la Repubblica) si è ritrovato al 9,5.

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