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Pelosi sbarca a Taiwan, Pechino risponde con jet e missili

La presidente della Camera americana Nancy Pelosi è arrivata a Taiwan, provocando l’ira di Pechino che ha risposto d’impulso inviando i suoi jet nello Stretto e annunciando, poi, manovre militari per assediare l’isola ribelle.

Il ministero degli Esteri cinese ha convocato in tardissima serata l’ambasciatore Usa a Pechino, Nicholas Burns, esprimendo “forte opposizione e ferma condanna” per la visita a Taiwan della speaker della Camera Usa, Nancy Pelosi. Il vice ministro Xie Feng ha parlato di “grave provocazione” e di “violazione del principio della Unica Cina”, secondo i media ufficiali. Il governo Usa “avrebbe dovuto frenare la mossa senza scrupoli di Pelosi e impedirle di andare contro la tendenza storica, ma invece l’ha assecondata e ha collaborato con lei, il che aggrava la tensione nello Stretto di Taiwan e danneggia gravemente i legami tra Cina-Usa”.

“Stiamo monitorando il viaggio della Pelosi e vigileremo per garantire la sua sicurezza”. Lo ha detto il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale, John Kirby, in un briefing con la stampa ribadendo che la missione a Taiwan non cambia la politica degli Stati Uniti verso l’isola e la Cina.

La veterana democratica, paladina dei diritti, ha assicurato di volere con la sua presenza e quella della delegazione del Congresso onorare “l’incrollabile impegno dell’America nel sostenere la vivace democrazia taiwanese“. E’ stata accolta calorosamente dal ministri degli Esteri Joseph Wu all’aeroporto di Songshan di Taipei, in attesa dell’incontro di mercoledì con la presidente Tsai Ing-wen, destinato ad alimentare la furia della Cina che da giorni ha avviato un pressing a tutto campo contro quello che definisce un “attacco alla sua sovranità”.

E’ la prima visita a Taipei di uno speaker della Camera dal 1997, dopo quella di Newt Gingrich, ampiamente segnalata come un complesso e nuovo grattacapo per l’amministrazione di Joe Biden. Ufficiosamente, la Casa Bianca e il Pentagono non hanno nascosto la loro opposizione alla tappa di Taipei, maturata in un contesto in cui le relazioni Usa-Cina sono ai minimi degli ultimi decenni. Alla fine di luglio, rispondendo a una domanda ad hoc, Biden riferì che “i militari pensano che non sia una buona idea in questo momento”. Per settimane, i funzionari del presidente hanno provato a scoraggiare i piani della speaker fino ad arrendersi e a provare a circoscrivere i danni, legando la missione alla sola volontà di Pelosi. Quando il presidente taiwanese Lee Teng-hui ricevette Gingrich nel 1997 disse una fase che fece infuriare l’allora presidente cinese Jiang Zemin: “Sosteniamo che la ‘Unica Cina’ si riferisca a una nazione cinese unificata, democratica e libera”. Anche in quella circostanza scaturì una reazione militare che fu stroncata sul nascere dall’arrivo delle portaerei Usa nello Stretto di Taiwan. Un episodio d’altri tempi che il presidente Xi Jinping ricorda benissimo dato che allora era vicesegretario del Pcc del Fujian, la provincia di fronte a Taiwan, ma che questa volta non è intenzionato, con una Cina diventata potenza economica e militare, a incassare un altro colpo americano a maggior ragione in vista del XX Congresso del Partito comunista che dovrebbe in autunno affidargli un inedito terzo mandato alla guida del Pcc.

I media cinesi hanno annunciato l’invio di caccia Su-35 dell’Esercito popolare di liberazione cinese nello Stretto di Taiwan (ipotesi smentita dalla Difesa di Taipei che ha denunciato l’incursione di 21 aerei) nell’imminenza dell’atterraggio, mentre subito dopo una raffica di comunicati ha condannato l’arrivo di Pelosi, a tutti i livelli. Il ministero degli Esteri ha emesso una “ferma condanna” e parlato di “grave provocazione politica”; il ministero della Difesa ha annunciato “operazioni militari congiunte” e mirate attorno a Taiwan con le forze armate “in allerta”, nonché tiri d’artiglieria a lungo raggio e lanci di missili nelle acque a est dell’isola. Mentre l’Ufficio per gli Affari di Taiwan del Pcc ha avvertito che nessuno “può fermare il processo di riunificazione” dell’isola con la Repubblica popolare, entrato in una fase “irreversibile”. Nella zona, intanto, da giorni è arrivata la portaerei americana Reagan con il suo gruppo d’attacco, compresa la nave d’assalto anfibia Uss Tripoli. La questione di Taiwan è il nodo più intricato nelle relazioni tra Washington e Pechino: “Chi gioca con il fuoco si brucia”, era stato l’avvertimento di Xi a Biden nella loro ultima videochiamata della scorsa settimana.

Gli Usa non sostengono l’indipendenza di Taiwan e continuano a supportare la politica dell”Unica Cina‘”, ha ribadito ancora oggi il portavoce della Sicurezza nazionale, John Kirby.

Sul punto, Pelosi ha precisato che la visita “non in contraddizione” con la politica degli Usa verso Taiwan e verso la Cina. Gli Stati Uniti si oppongono a “tentativi unilaterali di cambiare lo status quo” nello Stretto, ha aggiunto su Twitter e in una nota, riecheggiando la posizione espressa da Biden a Xi. L’atmosfera, tuttavia, si è surriscaldata ben prima dell’atterraggio della speaker partita da Kuala Lumpur, seconda tappa del tour in Asia. La portavoce del ministero degli Esteri Hua Chunying, responsabile della divisione media e con qualifica da viceministro, ha minacciato “contromisure risolute” nei confronti degli Stati Uniti, tornando in conferenza stampa per la prima volta dal 24 febbraio, giorno della “missione militare speciale” della Russia in Ucraina. Ha assicurato che gli Usa “pagheranno il prezzo per avere danneggiato gli interessi di sicurezza sovrani della Cina”. Pechino, intanto, ha incassato il sostegno di Mosca.

Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha definito la missione di Pelosi una “pura provocazione” e “giustificato” l’atteggiamento cinese. “È tutto burrascoso. E dal punto di vista della Cina, questa visita di Pelosi è un altro esempio di come gli Usa non smetteranno di spingere Taiwan a pensare per se stessa, che è esattamente ciò che Pechino non vuole”, ha scritto su Twitter Derek J. Grossman, analista del think tank di RAND Corporation. Un legame che Pechino vuole rompere partendo dalle pressioni militari ed economiche.

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