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Rodionov: «Il Donbass non ci basta più, l’Ucraina del sud deve rientrare in uno spazio russo. Kiev ha sbagliato a rimandare la resa»

di Marco Imarisio

Dmitry Rodionov, capo del centro studi legato al ministero della Difesa di Mosca: «Bisogna andare avanti o sarà un fallimento. È in gioco la nostra esistenza»

Dal nostro inviato

MOSCA — «Come ci siamo ridotti. Tutta cucina asiatica, giapponese, araba, francese caucasica. Ormai qui è impossibile trovare un vero ristorante russo». Le persone si comprendono anche parlando di cibo. E forse l’Italia viene risparmiata dall’elenco delle impurità gastronomiche solo perché la conversazione, in verità alquanto aspra, avviene davanti a un piatto non propriamente tipico di queste latitudini. Una pizza margherita, che peraltro l’interlocutore mostra di gradire parecchio. Sotto la maglietta attillata, Dmitry Rodionov, quarantunenne direttore del Centro di ricerche geopolitiche dell’Istituto dello Sviluppo innovativo, che fornisce studi e analisi al ministero della Difesa, esibisce bicipiti e pettorali gonfi, in linea con una visione alquanto muscolare della diplomazia internazionale. «Se l’Ucraina non sarà denazificata e demilitarizzata fino in fondo, questa Operazione militare speciale verrà ricordata come un fallimento. Bisogna solo andare avanti».

Fino a dove?


«Mesi fa noi abbiamo ricevuto il compito di studiare diversi progetti teorici di spartizione dell’Ucraina. Ma il primo, ovvero la semplice liberazione del Donbass, ormai è superato dagli eventi e dall’ostinazione del regime di Kiev nel procrastinare la resa».

Gli ucraini sono colpevoli anche del reato di resistenza?


«La chiami come vuole. Per noi è la prova che quello Stato è intriso di filosofia nazista. L’Ucraina del sud deve rientrare in uno spazio russo, vedremo poi con che formula. La parte occidentale del Paese va lasciata al suo destino».

Il 2022 come rivincita del 2014?


«Ormai non è più in gioco l’esistenza delle due repubbliche separatiste filorusse, come le chiamate voi occidentali, ma l’esistenza stessa della Russia, come appare chiaro dall’escalation verbale di questi giorni. Questa è una operazione difensiva. Io sono tra quelli che per otto anni hanno implorato Putin di intervenire mandando le truppe in Ucraina. Ma lui riponeva ancora qualche speranza nell’Occidente. Adesso, finalmente, siamo alla rottura totale».

Il Donbass non basta più?


«Una parte politica spinge per questa soluzione di compromesso in cambio dell’indebolimento delle sanzioni. Posso dire con qualche certezza che i vertici militari sperano invece di portare a termine il lavoro».

Con quale modalità?


«Non si tratta più di impedire all’Ucraina di entrare nella Nato. Ma di creare una nuova nazione che ci protegga dalle manovre occidentali».

Guidata da Mosca, immagino.


«Esistono due diversi progetti. Il primo, proposto dai politici della Crimea, riguarda la creazione di un governatorato della Tauride che comprenda la regione di Kherson, una parte della regione di Mykolaiv, fino a Zaporizhzhia. Sono territori ormai sotto il nostro controllo. Ovviamente verranno uniti alla Crimea e a Sebastopoli, che è una entità amministrativa separata. Il secondo è la nascita di un Distretto federale crimeano che ingloberebbe gli stessi territori. Oltre al Donbass in entrambi i casi, ovviamente».

Dove sarebbe la differenza?


«Nelle basi legali del nuovo soggetto. Nel primo caso si tratta di una amministrazione guidata dalla Crimea. Nel secondo, la nuova regione potrebbe essere guidata direttamente da Mosca».

L’opzione che le aree conquistate possano tornare a far parte dell’Ucraina non è più sul tavolo?


«Poteva esserlo all’inizio, se il governo di Kiev avesse abbandonato il campo. Adesso, mi sembra poco probabile che questo possa accadere. In ogni caso, lo scenario più probabile è questo. Occorre solo una decisione politica».

Che fine ha fatto la promessa di non attentare all’integrità territoriale dell’Ucraina?


«Se è per questo, all’inizio è stato detto che non volevamo neppure un cambio di regime a Kiev. Tuttavia, oggi è evidente che il raggiungimento dei nostri obiettivi di sicurezza sottintende lo smantellamento della statualità filonazista e la destituzione del potere ucraino attuale».

E quello nuovo come dovrebbe essere?


«Una Ucraina federale, un’Unione di repubbliche popolari o magari una Repubblica ucraina dentro la Russia. Questo lo deve decidere in primo luogo la popolazione dei territori liberati. Quel che conta per noi è il Sud e la sua riunificazione in un unico complesso economico e sociale. Come, lo dirà il tempo».

Non le sembra di essere troppo coinvolto, per essere uno studioso? «Domanda faziosa. Io mi considero un patriota. Quand’ero ragazzo, ai tempi di Eltsin, ci dicevano che i nostri valori con contavano più, e la vecchia mentalità sovietica era da abolire. Io invece non mi sono mai mosso da quelle posizioni. Adesso, il Cremlino stesso sta dicendo che quei ragazzi di allora avevano ragione. Meglio tardi che mai».

29 aprile 2022 (modifica il 29 aprile 2022 | 09:35)

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