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Albino Ruberti: il «Rocky» irascibile stakanovista sul lavoro ma dalla memoria corta

di Tommaso Labate

Il capo di gabinetto del sindaco Roberto Gualtieri, travolto dalla bufera dopo il video in cui minaccia alcuni esponenti del Pd di Frosinone. Nel 2018 aggredì rudemente un gruppo di animalisti. L’imbarazzo per la multa dei figli

«Sono state parole, per le quali ho chiesto scusa. Ma non ho mai alzato le mani in vita mia». Ecco, uno dei problemi di Albino Ruberti — sottolineato anche dagli amici e collaboratori che in queste ore difficili ne esaltano l’abnegazione al lavoro, l’instancabilità, le grandi prestazioni rese alle istituzioni pubbliche, che ha servito fino alle dimissioni di venerdì da capo di gabinetto del sindaco di Roma Roberto Gualtieri — è sempre stata la memoria breve. O, meglio, quella specie di offuscamento sulle cose dette e fatte che spesso è un effetto collaterale della vita, che si abbatte sulle persone particolarmente irascibili.

E così, quando per difendersi dall’aggressione verbale ai danni di alcuni esponenti del Pd ciociaro, immortalata da un video di cui Il Foglio è entrato in possesso, Ruberti ha giurato di non aver «mai» alzato le mani in vita sua, i suoi nemici — che sono tantissimi — hanno cominciato a far viaggiare di telefonino in telefonino il video delle proteste degli animalisti alla presentazione della campagna per le primarie pd di Nicola Zingaretti, anno 2018, in cui si vedeva il capo di gabinetto scagliarsi con veemenza contro gli autori della manifestazione, che infatti avevano denunciato l’aggressione. A seguito di un certosino sminuzzamento del video alla moviola, l’avvocato di Ruberti aveva certificato che non c’era stato alcun contatto; ma il sospetto, inquadrature parziali alla mano, era rimasto eccome.

Come rimarrà a vita, e questa sarà la macchia più difficile da togliere anche da un curriculum importante come quello di Ruperti, il sospetto che dietro la discussione coi fratelli De Angelis — «Tu dici me te compro? Inginocchiati o ti ammazzo! Vi ammazzo! Vi sparo! Vi do cinque minuti» — non ci fosse semplicemente una discussione calcistica di quelle che, ormai, non degenerano a questi livelli neanche nei peggiori bar di Buenos Aires dopo Boca JuniorRiver Plate. Alla scusa che fosse «una lite su Roma-Lazio», su cui ufficialmente concordano aggressore verbale e aggrediti, credono in pochi. Anche se, e questo è un dato di fatto, Ruberti è un accanito tifoso della Lazio; anche se, dato incontestabile, Ruberti è una persona irascibile; anche se, opinione diffusa da sempre negli uffici in cui ha lavorato, Ruberti era il classico servitore delle istituzioni con l’innata propensione a farsi molto male da solo per cose piccole o piccolissime.

«C’è gente che si rimette in piedi dopo inchieste, avvisi di garanzia, a volte condanne, perché sono i classici tipi che cadendo dal decimo piano si rompono giusto un braccio. E poi c’è gente che la vedi da come si muove e come ti tratta, da come perde la pazienza per un nonnulla, sono quelli che dalla terza buccia di banana non si rialzano più. Albino fa parte della seconda categoria», dice uno che l’ha frequentato per tantissimo tempo. Per anni, le virtù pubbliche hanno sopravanzato nettamente i vizi privati: «Ruberti» era capo di Zetema e organizzatore di eventi storici come la prima notte bianca della Capitale, «Albino» è quello che finisce a litigare per un punto contestato in un torneo di beneficienza di tennis ; «Ruberti» il capo di gabinetto inflessibile con Zingaretti alla Regione prima e Gualtieri in Campidoglio dopo, «Albino» è quello di cui si sentono le urla quando le luci degli altri uffici sono spente da ore.

Poi, la maledizione: «Mister Albino» ha sopravanzato il «Dottor Ruberti», i «lei non sa chi sono io» sono passati di padre (sorpreso a un pranzo di pesce organizzato in barba alle regole del lockdown, con tanto di multa pagata, aveva detto alle forze dell’ordine «le regole le scrivo io») in figlio (fermati per un controllo ai Parioli, i due eredi si erano ribellati al controllo stradale dei carabinieri) ed è finita come l’ormai ex capo di gabinetto di Gualtieri aveva pronosticato in quella notte maledetta di Frosinone. «Basta!, vojo finì la mia vita qua!», urlato all’indirizzo della fidanzata consigliera regionale, Sara Battisti, e dei fratelli De Angelis. Per la vita, intesa ovviamente come vita nelle istituzioni, è finita là. Il chiarimento telefonico con Gualtieri, dopo la pubblicazione del filmato, è terminato nell’unico modo in cui poteva finire, con le dimissioni. Quell’«inginocchiati!» gli rimarrà appiccicato per troppo tempo ancora, anche perché non aveva i rimandi melodrammatici dell’«addenocchiate e vàsame sti ‘mmane» che Mario Merola rivolgeva al figlio nella celebre sceneggiata dello Zappatore. Lì piangevano tutti. Qua, alla fine, piange solo uno.

20 agosto 2022 (modifica il 20 agosto 2022 | 07:00)

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