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Digital Markets Act operativo nei prossimi mesi: ecco come l’UE vuole limitare il potere delle Big Tech

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Digital Markets Act operativo nei prossimi mesi: ecco come l'UE vuole limitare il potere delle Big Tech



L’entrata in vigore del nuovo regolamento antitrust, che introduce una nuova serie di regole per frenare il potere delle Big Tech, era prevista per il mese di ottobre di quest’anno, adesso la si attende per la prossima primavera


di pubblicata il , alle 14:38 nel canale Web











Margrethe Vestager, Commissario europeo per la concorrenza, ha dichiarato alla conferenza International Competition Network (ICN) che l’entrata in vigore del Digital Markets Act (DMA) è prevista nella primavera del 2023, mentre in precedenza era stata indicata la data dell’ottobre di quest’anno. Si tratta di un nuovo regolamento di tipo antitrust volto a limitare il potere delle Big Tech con capitalizzazione superiore ai 75 miliardi di euro e predominio nel mondo dei social network con almeno 45 milioni di utenti attivi al mese.


La Vestager ha detto che la Commissione si sta preparando per l’applicazione del DMA e che sarà pronta ad agire contro qualsiasi violazione commessa da quelli che vengono indicati nel testo come “gatekeeper” – una classificazione che include Meta, Apple, Google, Microsoft e Amazon – non appena la normativa entrerà in vigore.


Si parla di sanzioni fino al 10% del fatturato alla prima violazione e fino al 20% in caso di violazioni ripetute. I gatekeeper avranno tre mesi per dichiarare il loro status alla Commissione, ai quali seguiranno ulteriori due mesi per la convalida da parte dell’UE. Si tratta di tempistiche che di fatto posticipano l’applicazione del regolamento al prossimo anno, dando il tempo alle Big Tech per aderire alle nuove normative.


Digital Markets Act (DMA)


Il ritardo potrebbe anche fungere da catalizzatore per le critiche, che già stanno arrivando, se la Commissione non risolverà eventuali contraddizioni insite nel testo. Sul quale, in particolare, hanno puntato il dito le grandi realtà americane, che di fatto vengono prese di mira in prima istanza dal DMA. Il regolamento, infatti, non troppo velatamente è indirizzato specificamente a Google, Apple e Facebook, prima di ogni altro. Un’altra controversia è nata a proposito degli annunci pubblicitari mirati, in un primo momento vietati solo ai minori e, nella nuova bozza del testo, bloccati a tutti gli utenti, a meno di esplicito consenso.


Digital Markets Act: cosa prevede


Il Digital Markets Act punta ad agire in maniera preventiva, piuttosto che ricorrere al più tradizionale metodo delle multe dopo che le violazioni sono state compiute. Trattandosi di un regolamento, quindi, sarà applicabile non appena entrerà in vigore, ovvero a partire da 20 giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.


In primo luogo si occupa di installazione di software e, in particolare browser web, sui dispositivi prima della vendita, puntando a proteggere la libertà decisionale dell’utente nella scelta del software da utilizzare. In termini di interoperabilità, invece, si proverà a limitare le comunicazioni tra le app di messaggistica e le piattaforme di social media, garantendo il più possibile la privacy dei cittadini.


I gatekeeper non potranno poi sfruttare le capacità di controllo sulle proprie piattaforme per favorire i propri annunci pubblicitari a discapito di quelli di altre aziende. Inoltre, non potranno obbligare gli sviluppatori che usano le loro piattaforme a utilizzare il proprio sistema di pagamento: è naturalmente il caso di Google e Apple che impediscono agli sviluppatori di avere piattaforme di pagamento alternative rispetto a quelle di Play Store e App Store.


Inoltre, gli sviluppatori dovranno poter mettere a disposizione degli utenti di qualsiasi dispositivo i loro software senza dover necessariamente passare dallo store del proprietario della piattaforma. Quindi, ad esempio, poter mettere a disposizione app per iPhone senza usare App Store. Sappiamo che per ogni vendita effettuata tramite i loro store i gatekeeper trattengono quote sui guadagni fino al 30%. Ancora, gli sviluppatori devono poter accedere alle funzionalità hardware degli smartphone in maniera più libera.


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