22 Giugno 2025

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L’inizio dell’estate e il cellulare

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Ispirato da “Season Opener” di Melissa Kirsch (The New York Times, 21.06.2025)

Oggi è il giorno più lungo dell’anno.

Stanotte sarà la notte più corta.

Comincia l’estate — non quella del calendario, ma quella vera: inondata di sole, lucida di sudore, profumata di crema solare e di fumo che arriva da un barbecue lontano. L’aria si fa densa. Il caldo si accumula. È il momento di tuffarsi, di galleggiare, di nuotare, di lasciarsi avvolgere dal fresco come da un’assoluzione momentanea.

E oltre alla gioia evidente della frescura, c’è un miracolo più silenzioso: nell’acqua, il telefono perde importanza. Nuotare è uno degli ultimi spazi in cui il mondo digitale non può seguirti.

(Sì, d’accordo, c’è sempre la vasca da bagno.

Ma se stai scrollando anche lì, forse hai già perso qualcosa di essenziale.)

L’estate che sogno durante i lunghi mesi grigi è una stagione senza schermi. È un ritorno alla fisicità, alla presenza. La pelle scaldata dal sole. La sabbia che graffia le piante dei piedi. Il piacere semplice di mangiare un gelato. Il profumo costante della frutta e dei fiori.

In quest’estate immaginaria, il telefono non esiste.

Nessun avviso. Nessuno scroll infinito. Nessun dispositivo che ronza per richiamare l’attenzione come un bambino viziato.

Perché poche cose ci strappano al presente con la stessa brutalità del telefono.

Ho riflettuto su quella strana sensazione di spaesamento che si prova quando si solleva finalmente lo sguardo dallo schermo.

È come un jet lag mentale. Si sbatte le palpebre, incerti su dove ci si trovi. Per qualche minuto, si è stati altrove — il corpo presente, la mente in esilio. Un esilio tascabile.

E ogni volta, qualcosa si perde. Uno sguardo. Un istante. Una sensazione. Un’occasione per esserci.

Lo sappiamo tutti. Eppure torniamo ai nostri dispositivi, come tirati da un filo invisibile.

Ma perché diamo la colpa solo al telefono? Perché trattiamo la vita online come l’unico ladro della nostra presenza?

Un libro non è forse altrettanto immersivo, altrettanto capace di trasportarci in un altro mondo?

Quale lettore non ha almeno due o tre libri iniziati, da scegliere a seconda dell’umore, dell’energia, del tempo?

Leggere non è forse una forma deliziosa di disconnessione?

Forse la differenza sta nel ritmo. Nel battito frenetico del mondo digitale, dove le storie durano pochi secondi e l’attenzione cambia oggetto prima ancora di posarsi. Non c’è permanenza. Solo scorrimento. Forse è questo che ci inquieta: il vortice, l’assenza di profondità.

Eppure, io scrivo i miei pensieri nelle pause — tra una riunione e l’altra, in ascensore, mentre aspetto un caffè.

Se la scrittura può accadere in questi interstizi, perché non anche la lettura?

Forse il punto non è la concentrazione o la distrazione.

Forse non è nemmeno questione di attenzione.

Forse la vera differenza è questa: libri e telefoni stimolano la mente. Ma solo uno dei due ignora tutto il resto del corpo.

Gli schermi non ci rubano solo l’attenzione — ci rubano la sensazione. Spengono il mondo.

E d’estate, questa sottrazione si sente più forte.

Perché l’estate non è fatta per essere guardata.

È fatta per essere vissuta.

La luce dura più a lungo. L’aria ci invita a restare.

Dopo le incombenze giornaliere, c’è ancora tempo; tempo per sdraiarsi sull’erba, tempo per seguire con lo sguardo il disegno delle foglie nel cielo, tempo per non fare nulla e sentire tutto.

In città, il sole vibra sull’asfalto in onde tremolanti e minerali.

Le rose esplodono come se volessero farsi notare.

Persino il caldo ha una consistenza — densa, viva, palpabile.

Perché mai scegliere di perdersi tutto questo?