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Le sfide tra alleati e le crepe nell’unità: ora la resa  dei conti nel centrodestra

di Marco Cremonesi e Paola Di Caro

Le accuse incrociate dopo i risultati e le divisioni nelle città Lega e Forza Italia soffrono il protagonismo e le scelte di Meloni. E il prossimo fronte sarà la scelta del candidato in Sicilia

Alla fine, nel disastro inatteso di un secondo turno che fa da contraltare alle vittorie di Palermo e Genova del primo, nel centrodestra perdono tutti. Perde Giorgia Meloni, leader del partito più votato, il cui candidato Federico Sboarina non si riconferma sindaco a Verona consegnando una città di destra a Damiano Tommasi. Perde Silvio Berlusconi, che pur vedendo eletti due sindaci vicini(Gorizia e, a sorpresa, Lucca), subisce un’umiliazione nella «sua» Monza, portata in serie A, coccolata con comizi dedicati, ma capace di far vincere il candidato (sfavoritissimo alla vigilia) del centrosinistra. E perde anche Matteo Salvini, visto che la sua Lega non si dimostra più trainante al Nord, dove la coalizione vince solo un capoluogo sugli 8 al voto.

Sarebbe sufficiente per chiudersi in conclave, fare un generale mea culpa e ripartire. Ma per ora a prevalere sono le recriminazioni, le accuse incrociate, i veleni trasversali. Su una cosa sola sono d’accordo tutti: per dirla con Antonio Tajani «dove siamo uniti vinciamo, dove andiamo divisi perdiamo. E dove a trainare sono i moderati, si prevale». «Le divisioni hanno penalizzato il centrodestra e aumentato l’astensione, serva a tutti di lezione: quando litiga e si divide, il centrodestra perde», ammonisce il responsabile Enti locali della Lega Stefano Locatelli. E anche Ignazio La Russa, pur evidenziando come «hanno votato in pochissimi, i sindaci sono eletti con il 20% dei voti degli aventi diritto», va dritto al punto e sul caso più eclatante, Verona, contrattacca: «Su Verona è stato uno sbaglio di Sboarina e Tosi non sapersi accordare nel ballottaggio con apparentamento o appoggio ufficiale, ma il vero errore è stato fatto al primo turno quando solo FdI e Lega hanno appoggiato il sindaco uscente mentre FI ha voluto rompere per appoggiare Tosi che non è arrivato neanche al ballottaggio».

La verità è che il centrodestra perde in tutte le condizioni possibili in questa tornata, dove è unito e dove separato. Come se gli elettori percepissero una spaccatura sostanziale, una mancanza di minima armonia. E da Lega e FI il dito è puntato soprattutto contro Giorgia Meloni. In casa azzurra ormai i sussurri diventano grida: «La Meloni — è l’accusa — soffre di “sindrome del marchese del Grillo”, quella del “io sono io e voi non siete…”. Ormai crede di poter comandare solo lei, forte di sondaggi che la premiamo in quanto opposizione, ma che al voto potrebbero cambiare… Da tempo non chiamava Berlusconi, ora negli ultimi giorni lo ha fatto spesso, evidentemente vede il rischio di una posizione troppo isolata. E sbaglia troppo spesso i candidati, con arroganza».

Dalla Lega, pure lamentele. Male Parma e male Piacenza , male Alessandria, malissimo Catanzaro dove, come altrove, la colpa viene attribuita a FdI che «ha diviso il centrodestra». Un respiro di sollievo a Lucca, su cui Salvini puntava, ma mazzata a Carrara. E certo la sconfitta brucia anche a Verona, nonostante quanto dicano i leghisti come un sol uomo, e cioé che intorno all’Arena hanno perso i Fratelli d’Italia. Sesto San Giovanni è un’altra delle scarse gioie, anche a Como si rivendica un sostegno al candidato civico vincente. Salvini non segue i dati passo passo, ma li apprende di riflesso, il comunicatore Matteo Pandini e Stefano Locatelli sono in via Bellerio ma soli, nessuno arriva nel quartier generale leghista a seguire lo spoglio. E nessuno dice una parola. Ma fuori dalla palazzina milanese, c’è chi profetizza: «Il sovranismo è morto».

Adesso bisognerà capire da dove ripartire, il caso Sicilia incendia gli animi, con l’uscente Musumeci che chiede chiarezza: insisterà la leader di FdI per ricandidarlo pur sapendo che Fi e Lega sono contrarie, o cederà sentendo puzza di bruciato, perché come dicono a mezza bocca nel partito «gli alleati preferiscono far perdere noi che vincere assieme?». I nodi vengono al pettine. Ora uniti (davvero) per tornare coalizione o dividersi: è tempo di decidere

27 giugno 2022 (modifica il 27 giugno 2022 | 02:23)

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