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Mariupol, il comandante di Azov:«La resa? Non è un’opzione»

di Lorenzo Cremonesi, nostro inviato a Zaporizhzhia –

Michail Pirog, capo del quarto Battaglione della Azov di stanza a Zaporizhzhia: «Possiamo combattere ancora per settimane. Non siamo razzisti, combattiamo per la libertà contro il fascismo di Putin»

«Resa? Non ne abbiamo mai neppure parlato. I russi possono tranquillamente fare a meno dei loro ultimatum. Gli eroi combattenti di Mariupol si batteranno sino all’ultimo uomo, non cercano il martirio ma sono pronti a morire. Ma i rinforzi arriveranno prima». Resta quasi interdetto il comandante Michail Pirog quando gli si chiede dell’eventualità che gli ucraini accerchiati da quasi due mesi scelgano di arrendersi per avere salva la vita: «Non è un’opzione contemplata», spiega calmo. A 55 anni, Pirog guida il quarto Battaglione dei volontari della formazione nazionalista Azov, circa mille uomini nel distretto di Zaporizhzhia
, la città del Centro-Sud più prossima a Mariupol.

Quanti sono gli ucraini accerchiati che ancora combattono?


«Sono dati riservati. Posso dirle che ci sono Marine della 36esima e 503esima Brigata, soldati della Guardia nazionale e tanti volontari della Azov. Sono unità ancora operative, siamo riusciti a inviare loro rinforzi di armi e munizioni sino a poche settimane fa. Possono ancora resistere per settimane, ma gli mancano cibo e acqua come ai civili».

Qui negli ambienti militari si parla di circa mille soldati ucraini accerchiati contro 10.000 russi. Ha senso?


«Sì, direi che la proporzione è quella. Non so però dire con precisione quali quartieri siano ancora nelle loro mani oltre alla zona delle acciaierie Azovstal, anche perché le posizioni cambiano di continuo: stiamo parlando di una battaglia tra le vie di una grande zona urbana. I posti di resistenza sono parecchi e rendono complicata l’avanzata russa».

Una classica guerriglia urbana con bombe molotov e cecchini?


«Direi più di così. I nostri posseggono ancora razzi, armi anticarro, mortai leggeri. Sono soldati di un esercito, non guerriglieri urbani».

Cosa risponde a chi, anche tra i Paesi europei alleati dell’Ucraina, accusa la Azov di essere una formazione neonazista e razzista?


«Noi siamo patrioti che combattono per la libertà e la democrazia. La propaganda russa falsifica la realtà e ci accusa di nazismo, mentre sono proprio i soldati russi a uccidere civili, a rubare e violentare. Sono loro i nuovi hitleriani. Noi ci battiamo anche per difendere le democrazie europee contro il fascismo espansionista di Putin».

E le vostre origini cosacche? Siete figli delle stesse unità che stavano a fianco delle SS durante la Seconda Guerra mondiale.


«Lo sa che c’erano un mucchio di russi collaborazionisti tra le guardie dei lager nazisti? Ma l’Armata Rossa era un’altra cosa. Per noi l’anima cosacca è oggi sinonimo di libertà contro la dittatura oppressiva di Putin. Altro che razzisti! Con noi ci sono ebrei, azeri, tartari di Crimea, armeni, cattolici, musulmani».

Chi vi critica menziona la svastica sulle vostre uniformi e bandiere.


«La svastica è un antico simbolo slavo, pan-europeo, persino indiano. Per noi non ha alcun rapporto col nazismo. Accusereste mai gli indiani per le svastiche antiche millenni? Ma sono discorsi che davvero oggi non hanno senso. La realtà è che ci stiamo difendendo da un’aggressione violenta e fanatica. Abbiamo bisogno di tutto il vostro aiuto».

18 aprile 2022 (modifica il 18 aprile 2022 | 23:17)

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