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La morte di David Rossi e l’agonia della magistratura senese nel libro di Vecchi

La verità sul caso David Rossi. Tutto quello che ancora non sapevamo”. È il titolo dell’ultimo libro di Davide Vecchi, pubblicato da Chiarelettere dopo il precedente “Il caso David Rossi”, dato alle stampe nel 2017. Non una versione aggiornata del vecchio libro, ma un’inchiesta completamente nuova, che se certamente parte da basi già solidamente gettate cinque anni fa, compie un notevole salto in avanti verso proprio quella verità che – a onor del vero – sarà difficile ricostruire completamente. Troppo il tempo passato, troppi i pezzi mancanti. E Davide Vecchi lo sa bene, perché lui quella storia l’ha vissuta in prima persona e sulla sua pelle.

Era a Siena come inviato del Fatto quotidiano quel 6 marzo 2013, quando il capo della comunicazione del Monte dei Paschi di Siena, il potente David Rossi, vola giù dalla finestra del suo ufficio, sita al terzo piano di Rocca Salimbeni, centro nevralgico e punto d’irradiazione del potere difficilmente circoscrivibile della banca più antica del mondo.

Era lì, Davide Vecchi, quando la macchina delle prime indagini si mise in movimento in modo così sgangherato da determinare l’impossibilità – a distanza di quasi dieci anni – di giungere a una verità conclamata su cosa sia accaduto quella sera piovosa nel centro di Siena.

Oggi Davide Vecchi – che dirige “Il Tempo” e le testate del Gruppo Corriere – continua a essere in prima linea insieme a molti altri colleghi, in veste di consulente (unico giornalista a ricoprire questo ruolo) della Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso David Rossi che, iniziati i suoi lavori nel luglio 2021, in pochi mesi ha permesso di fare dei passi in avanti che le inchieste precedenti della procura senese e di quella di Genova (tre inchieste in totale) non hanno fatto nel corso di nove anni. Nasce proprio in seno ai lavori della Commissione questo libro che, a leggerlo, è un pugno nello stomaco. Avvincente come un “legal thriller”, al suo interno non manca proprio nulla: c’è il morto, ci sono i depistaggi, ci sono personaggi che sembrano usciti fuori dai romanzi di James Ellroy, ci sono le persone che si battono per la verità e l’ombra di un doppio fondo inquietante che, forse, potrebbe spiegare per quale motivo David Rossi abbia fatto la fine che ha fatto.

Perché se è vero che i magistrati della prima inchiesta – Nicola Marini, Aldo Natalini e Antonio Nastasi – si affrettarono ad archiviare tutto come suicidio, altrettanto vero è che sin da subito i dubbi riguardo la ricostruzione degli eventi erano mastodontici. Oggi, a distanza di nove anni, possiamo pacificamente ammettere a noi stessi che no, non si trattò di suicidio.

Se non fosse per il lavoro di giornalisti coraggiosi come Davide Vecchi, quello del manager MPS sarebbe entrato nel novero di quei “misteri d’Italia”, nella cui “hall of fame” troviamo vicende come quella di Roberto Calvi, Michele Sindona, Giorgio Ambrosoli, Mino Pecorelli. L’elenco potrebbe essere lungo, ma per fortuna, in questo caso, la nebbia si è parzialmente diradata. David Rossi è stato ucciso. Da chi e per quale motivo, non è ancora dato saperlo.

David Rossi è morto dopo 22 minuti strazianti di agonia ripresi dalle telecamere di sicurezza di Rocca Salimbeni. Le stesse telecamere che riprendono un uomo mai identificato affacciarsi nel vicolo in cui è disteso Rossi e parlare al telefono cercando di nascondersi; le stesse telecamere che – a diversi minuti dalla caduta – riprendono qualcosa precipitare sul selciato, forse l’orologio del manager; le stesse telecamere che quella sera non furono controllate dal custode del palazzo, che non si accorse di nulla.

Sono tanti i tasselli di questo puzzle, uno più oscuro dell’altro, e Davide Vecchi ce li presenta tutti, incastrandoli con maestria. A partire dalle telefonate (5) arrivate al 118 poco dopo il fattaccio, in cui un uomo insiste per conoscere l’identità della vittima perché “dovremmo riferire a Roma, be’ insomma, c’è tutto un giro”; passando poi per l’allora colonnello dei Carabinieri Pasquale Aglieco, giunto tra i primi sul posto nonostante la competenza dell’intervento spettasse alla polizia e sul cui ruolo bene e tanto sta lavorando la Commissione d’inchiesta; fino ad arrivare alle omissioni, alle prove distrutte, alla manipolazione della scena del crimine, ai processi-farsa e all’epopea giudiziaria vissuta da Antonella Tognazzi, moglie di David Rossi accusata (e assolta) di aver tentato di ricattare Mps, lucrando sulla morte del marito. E poi, nel finale del libro, una lunga e accurata disamina della pista mai completamente battura dei festini hard che – se trovasse un qualche tipo di riscontro oggettivo – spiegherebbe tante cose che in questa vicenda appaiono davvero inspiegabili, partendo (e finendo) dall’atteggiamento dei magistrati senesi che, in tempi non sospetti, hanno prefigurato quello sfacelo della magistratura arrivato all’apice nel 2019 con il caso Palamara.

Nel momento esatto in cui David Rossi impattava al suolo come un sacco di patate, in una posizione per nulla compatibile a quella che assumerebbe il corpo di un suicida, ma come piuttosto una persona priva di sensi lasciata cadere dopo essere stata trattenuta nel vuoto da sotto le ascelle, assieme a lui iniziava ad agonizzare la magistratura, che soprattutto con la prima inchiesta senese si è circondata di ombre pesanti, difficili da scacciare e che, leggendo questo libro, si addensano come nubi temporalesche.

Scrive Davide Vecchi: “Sia mai che esistano dei colpevoli in Italia, siamo il paese degli impuniti. Da noi pagano sempre i burattini, mai i burattinai, anche se noti e colti con le mani sporche. C’è sempre qualcuno che concede loro il tempo di lavarsele”. Parole dure e incontestabili, come dure e incontestabili sono le evidenze raccolte in questo libro inchiesta che merita di essere studiato con attenzione affinché la luce sul caso David Rossi non venga spenta lasciando i burattinai e i loro sodali in una confortevole ombra.

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